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Il rapporto a tempo determinato dopo la riforma Fornero PDF Stampa E-mail
Lavoro - Nicco

Tra le numerose modifiche apportate dalla riforma Fornero, entrata in vigore a decorrere dal 18 luglio 2012, un posto di sicuro rilievo viene ricoperto dalla riscrittura di alcune clausole del contratto a tempo determinato.

Di seguito richiamiamo brevemente le modifiche maggiormente incisive.

La prima novità riguarda la possibilità di prevedere l’apposizione del termine al contratto senza la determinazione di una causa specifica, così come previsto dalla previgente scrittura della normativa.

Tale possibilità è ristretta al primo contratto a tempo determinato, di durata massima non superiore a dodici mesi, concluso tra datore di lavoro o lavoratore per qualsiasi tipologia di mansione.

Tale opzione è percorribile anche in caso di attivazione di un contratto di somministrazione.

In tal caso si parlerà di prima missione del lavoratore presso l’utilizzatore.

I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale possono prevedere, anche a livello decentrato, che in luogo dell’ipotesi analizzata sopra, la stipula di un contratto acausale sia possibile nell’ambito di un processo organizzativo determinato da una delle seguenti motivazioni: avvio di nuova attività, lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, rinnovo o proroga di una commessa consistente.

Bisogna sottolineare come il contratto a tempo determinato senza determinazione della causale non può essere prorogato.

Alla data di scadenza l’azienda deve decidere se trasformare il rapporto a tempo indeterminato o cessarlo.

Tale differenziazione dovrà essere valutata in sede di stipula del contratto. Nel caso in cui sia presente una reale motivazione di apposizione del termine meriterà sempre la specifica sulla lettera di assunzione, così da potere, in un secondo momento, prevedere l’eventuale proroga del contratto originario.

Ulteriore modifica di rilevante interesse è l’ampliamento della c.d. coda contrattuale. Infatti i contratti a tempo determinato possono essere prorogati, ove ce ne siano la necessità e la possibilità. E’, però, prevista anche la possibilità di una prosecuzione di fatto.Tale prosecuzione non dovrà superare determinate durate, altrimenti il contratto si considera a tempo indeterminato a decorrere dalla fine del periodo massimo di coda contrattuale.

Nello specifico i contratti di durata non superiore ai sei mesi possono avere una coda contrattuale di massimo trenta giorni aumentati a cinquanta giorni per contratti di durata superiore ai sei mesi.

Bisogna sottolineare, però, che la prosecuzione di fatto del contratto dovrà essere comunicata al centro per l’impiego entro la scadenza originaria del contratto.

La novità maggiormente significativa riguarda, però, il periodo che deve intercorrere tra due contratti di lavoro a tempo determinato.

La riforma Fornero ha previsto un ampliamento a sessanta giorni di intervallo nel caso in cui il primo contratto abbia una durata pari o inferiore a sei mesi, novanta giorni per i contratti di durata superiore.

Tale previsione penalizza sia le aziende che i lavoratori. Infatti, nel caso in cui un’azienda abbia necessità di riassumere un lavoratore prima del decorso dei termini sopra richiamati, si vedrà costretta a cercare un altro lavoratore, penalizzando quindi il lavoratore con cui ha già creato un rapporto di lavoro con conseguente vincolo fiduciario.

Tali periodi di intervallo tra un contratto e l’altro possono essere ridotti dalla contrattazione collettiva fino a venti e trenta giorni - rispettivamente per contratti di durata inferiore o superiore ai sei mesi - per le casistiche analizzate sopra relativamente alla stipula del contratto acausale: avvio di nuova attività, lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, rinnovo o proroga di una commessa consistente.

Da ultimo merita sottolineare che, ai fini del computo del periodo massimo di durata dei rapporti a tempo determinato intercorrenti tra un datore di lavoro ed un lavoratore, bisogna anche tenere conto dei periodi di missione - per contratti di lavoro somministrato - aventi per oggetto mansioni equivalenti.

Tale specificazione si è resa necessaria per contrastare quegli abusi che si venivano a creare alternando rapporti a tempo determinato e contratti di somministrazioni.

Relativamente a tale novità il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con interpello n° 32/2012, ha analizzato in modo puntuale la portata delle novità introdotte a decorrere dal 18 luglio 2012: se, raggiunto il tetto massimo di trentasei mesi tra rapporti a tempo determinato e missioni per contratti di somministrazione non si potranno più stipulare contratti a tempo determinato, nessuna limitazione è stata prevista per la stipula di contratti di somministrazione successivi.

Salta subito agli occhi che, quindi, l’intento del legislatore di limitare l’utilizzo del contratto a tempo determinato, indirizzando le aziende verso la stipula di contratti a tempo indeterminato, porterà, invece, ad una maggiore precarizzazione.

Articolo di Saverio Nicco tratto dal TN Gennaio-Febbraio 2013 - n. 1 anno XV

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